A filo d'erba

di Stefano Catone

Quelli che puliscono

Credo che accadde nel 1994, ma non ne sono sicuro. Era l’anno dei mondiali americani e nella mia classe delle scuole elementari arrivò una bambina croata. Non mi ricordo bene cosa, ma qualcosa – di questo sono sicuro – lo pensai. «Dov’è la Croazia? Come si dice “Mare Adriatico”, in croato?».

Di quella guerra, in particolare, ho sempre fatto fatica nel mettere assieme i pezzi e nel dargli un senso. Ho sostenuto innumerevoli esami di storia all’Università, ma della guerra in ex Jugoslavia c’erano solamente accenni: troppo scarsa la prospettiva storica? Troppo la vergogna di un massacro, l’ennesimo, sul continente europeo? Ancora di più la vergogna di non aver saputo rispondere per tempo, pur sapendo? Ancora oggi cerco qualche risposta, ma qualsiasi cosa legga la confusione aumenta e aumentano le domande.

Il 7 agosto 1992 Ed Vulliamy, inviato del Guardian, pubblica un articolo intitolato «Shame of camp Omarska». «I don’t want to tell any lies, but I cannot tell the truth», dichiara un giovane prigioniero emaciato e con gli occhi infossati. Omarska, qualcuno cerca di spiegare, è un “investigation centre”: «non preoccupatevi», sembrano dire, «non è un campo di concentramento ma semmai un “centro”», destinato a persone sospettate di far parte dell’esercito irregolare Musulmano.

Doveva essere il 1993. A Torino alcuni attivisti convocano una riunione per sensibilizzare l’opinione pubblica su quanto stava succedendo in Bosnia. Durante questa riunione viene letta una lettera scritta da Esad, un ragazzo di ventotto anni fuggito dalla guerra e arrivato a Torino. La riporta Luca Rastello in “La guerra in casa” (Einaudi, 1998):

E’ il 13 luglio, non so perché scrivo. E’ passato soltanto un anno. Un anno fa il mio corpo sembrava uno straccio strizzato nel campo di Omarska. Vero. Verissimo. Il 30 maggio ci presero come immondizie, tutti noi “uomini abili”, dai sedici anni in su. Dicevano “pulizia”, facevano “pulizia”. Come è possibile che uomini puliscano un paese sporco di uomini? Nella mia bellissima Prijedor io sono uno dei pochi fortunati che non sono stati puliti. Può darsi che io abbia la fortuna di essere pulito da questa terra soltanto dalla mano di Dio. Dico può darsi perché ho solo ventott’anni e non so che cosa mi aspetta ancora da questa… Non riesco a usare la parola “umanità”: tutto il mondo guarda e a casa mia la pulizia degli esseri umani è ancora in corso. C’è anche chi porta roba da mangiare a quelli che puliscono, così quelli vanno avanti e vanno avanti. E’ possibile che gli uomini si siano puliti anche dentro?

Già Vulliamy spiegava che Omarska era epicentro di un massacro che prende il nome di pulizia etnica, spiega che era quello il tratto distintivo di quella guerra. Come si è potuti arrivare fino a Srebrenica, se già si sapeva quel che stava accadendo?

Nel dizionario #Antifa che ho curato (Fandango, 2018) sono presenti i lemmi “pulizia etnica, cleaning, decoro”, che purtroppo sempre più spesso tornano a far parte con troppa faciloneria del discorso politico dei nostri tempi. Ci fa ancora ribrezzo, per fortuna, l’espressione “campi di concentramento”: ma cosa cambia tra l'”investigation center” di Omarska e i “detention center” libici? E perché, anche in Italia, deteniamo in maniera arbitraria migranti che non hanno commesso alcun crimine? «Sembra che nessuno voglia riconoscere che la storia contemporanea ha creato un nuovo genere di esseri umani — quelli che sono stati messi nei campi di concentramento dai loro nemici e nei campi di internamento dai loro amici», scriveva Hannah Arendt nel 1943.

In “La guerra in casa”, Rastello scrive cosa avveniva a Omarska e spesso riporta dettagli che sono un pungo nello stomaco. E individua una figura, quella di Duško Tadić, «38 anni, barista. […] Esperto in arti marziali, appassionato di film horror, conosce le regole del terrore e durante i rastrellamenti ogni tanto, a caso, fucila un civile. […] Per quattro mesi semina morte a Omarska: si presenta mascherato, armato di pistola e roncola, circondato da un gruppetto di compari con motoseghe, asce, cavi elettrici, taniche di benzina. Ostenta uno «stile» costante, nelle sue violenze, che incomincia con una scarica di botte, continua con il taglio dei muscoli delle giunture e con la rottura della spina dorsale e finisce con un colpo fra gli occhi. Ama piazzare una decina di detenute nude davanti ai maschi e tagliare il pene a chi mostra un’erezione. Si diverte a far bere olio lubrificante e far strappare a morsi i testicoli dei prigionieri».

In “Voi sapete”, Giuseppe Civati (La nave di Teseo, 2018) riporta le motivazioni della sentenza con cui la Corte d’assise di Milano «ha condannato all’ergastolo un cittadino somalo ritenuto responsabile di gravissimi fatti di violenza commessi nei primi mesi del 2016 in un campo di raccolta dei migranti in Libia». Vi si legge: «YYY le aveva strappato i vestiti davanti a tutti e poi l’aveva trascinata nuda nella sua stanza, le aveva legato le mani dietro la schiena, le aveva aperto le gambe e l’aveva violentata. Essendo infibulata le aveva aperto l’infibulazione con uno strumento metallico per poterla penetrare e la ragazza per il dolore era svenuta. Quando si era risvegliata era in un lago di sangue»«Le dichiarazioni delle due ragazze sono inoltre apparse coerenti con i risultati della visita ginecologica cui sono state sottoposte. Infatti gli esiti cicatriziali riscontrati ed i malesseri dalle stesse raccontati sono risultati pienamente congrui con riferimento al loro racconto». Nel certificato medico si legge: «in occasione della prima violenza ha avuto dolore violentissimo ed emorragia genitale (ci sono volute ore perché il violentatore riuscisse a penetrarla). Incontinenza urinaria. Frustata su gambe e braccia con tubi di gomma e cinture. Tenuta per lunghi periodi con mani e piedi legati. Esame obiettivo varie cicatrici addominali riferite a pratiche mediche in età infantile. Altre cicatrici al petto, alla nuca, all’avambraccio, alle mani, alle falangi dei piedi. L’esame ginecologico ha dato riscontro agli esiti della riferita infibulazione e della intervenuta penetrazione».

Che cosa cambia? Qualcuno è in grado di spiegarlo? Che gli uomini si siano puliti anche dentro, come scriveva Esad, e che non siano più capaci di riconoscersi?

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