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Quando l’umanità mette in discussione il potere – A filo d'erba

A filo d'erba

di Stefano Catone

Quando l’umanità mette in discussione il potere

Ieri a «Fa’ la cosa giusta», a Milano, ho ascoltato le testimonianze di tanti operatori umanitari e solidali che operano alle nostre frontiere. Chi lo fa in mare, chi al Brennero, chi a Como, chi a Ventimiglia, e così via.

Il filo conduttore che lega le acque territoriali libiche e il Brennero sembra essere il cosiddetto “stato di eccezione”: situazioni non contemplate dal diritto, non normate, casi limite e che alle volte sembrano (sembrano!) essere contrari alla legge – per quanto giusti. E’ nello stato d’eccezione che si esplicita chi detiene ed esercita il potere, chi ha la forza per decidere in una situazione non prevista, spesso in un momento di sospensione dello stato di diritto.

Sappiamo che il divieto di effettuare respingimenti collettivi e un divieto perentorio nella costruzione del diritto internazionale. Ma è un respingimento quello operato dalle forze dell’ordine di un paese dal quale si scappa, finanziate dal paese di approdo? La Libia è un paese sicuro se lo decide il governo italiano? E il Sudan? Il governo italiano può legalmente e legittimamente chiedere a una Ong di consegnare migranti alla Guardia costiera libica?

Le frontiere interne ed esterne all’Unione europea stanno diventando lo stato di eccezione. Al di qua e al di là di queste vengono allestiti campi di detenzione, si assiepano persone, nascono campi informali e campi governativi, come l’hotspot di Lampedusa. Non succede solo alle frontiere esterne dell’Ue, ma succede anche e soprattutto alle frontiere interne, da Calais a Ventimiglia a Gorizia, dove il passaporto che si ha in tasca è l’unico fattore discriminante e non la vulnerabilità e la fragilità delle persone – come ci dimostra la tragica storia di Beauty.

Accanto all’identità ed ai confini più o meno netti delle diverse aggregazioni etniche è di fondamentale rilevanza che qualcuno, in simili società, si dedichi all’esplorazione ed al superamento dei confini: attività che magari in situazioni di tensione e conflitto assomiglierà al contrabbando, ma è decisiva per ammorbidire le rigidità, relativizzare le frontiere, favorire l’inter-azione.

Scriveva così Alex Langer e lo scriveva con la semplicità che leggete nelle sue parole. E’ la stessa semplicità che ho ascoltato nelle parole di ieri, di chi diceva «ma noi non facciamo altro che dare un passaggio, offrire un letto, salvare una persona in mare». E’ già successo che qualcuno agisse così. E’ successo durante la Seconda guerra mondiale con le Aquile Randagie in Valle Spluga, che fecero espatriare in Svizzera circa duemila persone, e con facoltosi danesi che organizzarono traversate verso la Svezia (aprite i link, sono storie attualissime e hanno molto da insegnare).

Se da una parte il diritto viene sospeso, tra centri di detenzione e respingimenti, dall’altra parte c’è chi sfida apertamente questa sospensione, opponendosi con azioni solidali ad azioni violente.

Ed è assolutamente incredibile e paradossale che questa semplicità, che prende il nome di solidarietà e di fratellanza, venga indicata come la più potente minaccia alle autorità statali e istituzionali: succede quando l’umanità mette in discussione il potere.

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