A filo d'erba

di Stefano Catone

Quando le montagne chiamano

«Quando ci si riesce a contare, si conta qualcosa». Non ricordo chi l’abbia pronunciato, so solo che è uno dei tanti appunti che ho portato a casa dalla seconda edizione de «Il richiamo della foresta» (che oggi, domenica 22 luglio, è ancora in corso), il festival di arte, musica e letteratura in montagna organizzato dall’associazione culturale “Gli urogalli”, di cui fa parte Paolo Cognetti.

Urogalli, come quelli che danno il titolo a una raccolta di racconti di Mario Rigoni Stern. Urogalli, come figure mitologiche che non sei sicuro che esistano finché non ne vedi uno. A me è capitato qualche settimana fa, salendo al Piz Cam, un cucuzzolo che si raggiunge dopo quattro ore di cammino e che regala una vista che riempie gli occhi e lo sguardo dei giganti di granito della val Bregaglia. Ne abbiamo visti un paio, di urogalli, o almeno pensiamo che lo fossero, perché non sapremmo spiegarci cosa fossero, altrimenti. Le immagini su internet non hanno, in realtà, sciolto i miei dubbi. Quei due forse-urugalli avevano una testolina troppo piccola e affusolata.

Allo stesso modo, nemmeno con «Il richiamo della foresta» sei sicuro che esista finché non lo vedi. Senza voler scomodare la retorica, a me è sembrata una di quelle cose di cui c’era bisogno. Parlare di montagna vuol dire parlare di esperienze di autogoverno, di confini che non esistono e di persone che resistono. Oggi, qui.

«Quando si riesce a contare, si conta qualcosa», appunto: come «Rambo», montanaro, che ha scelto di restare, di vivere e di curare il suo ambiente. Come tutti coloro che, nel passato quanto nel presente, sperimentano forme di auto-organizzazione che ruotano attorno alla preservazione e alla condivisione dei beni comuni. Su tutti, la terra. La stessa terra che ha quel legame indissolubile con la casa, come ci ha raccontato Lucio Cavazzoni, minacciata ovunque nel mondo da guerra, land grabbing, mutamenti climatici.

E chissà che anche la nostra terra, la nostra casa non subisca la stessa sorte a causa di cambiamenti climatici, consumo di suolo, perdita di fertilità. E chissà che non sia proprio la montagna a tornare un luogo più ospitale, o forse l’unico luogo ospitale mentre in città esplodono le colonnine di mercurio. E chissà che il riscaldamento globale non sia altro che una strategia di autodifesa del pianeta Terra, col fine ultimo di costringerci a vivere in maniera compatibile con l’ambiente, se non vogliamo rischiare l’estinzione. E chissà se, prima o poi, qualcuno parlerà della nostra specie, una specie mitologica che ha rischiato di essere causa della sua stessa estinzione.

(Foto scattata dal Piz Cam guardando verso l’Engadina).

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