A filo d'erba

di Stefano Catone

«It’s not human»

Horgos è un paesino di circa 6mila abitanti a est di Subotica. La frontiera lo separa da Asotthalom, Ungheria, dove il sindaco, nei mesi scorsi, ha organizzato e pubblicizzato la caccia al migrante.

Trovare il campo non è semplice. Ci proviamo una prima volta, con gli amici di Speranza – Hope for children, chiedendo ai migranti che troviamo per le strade del paese. Mentre facciamo inversione all’ingresso di una strada sterrata a lato della strada principale, ci ferma la polizia serba per un controllo. Sembra vogliano capire se siamo passatori. Intuiamo che può essere quello il punto di accesso al campo. Ed è così. Ci allontaniamo e ritorniamo sul posto. Dalla strada escono dei mezzi della Croce Rossa. La imbocchiamo e proseguendo troviamo dei profughi che confermano la nostra ipotesi. Dopo circa due chilometri e innumerevoli inversioni di marcia, compare il campo. Anch’esso è collocato tra le due frontiere, serba e ungherese.

Le tende sembrano più stabili. Il campo è più grande di Kelibia. Sono 700 circa le persone che vivono qui. Ancora filo spinato, ancora container blu.

Ci incamminiamo in direzione delle tende, l’accesso è ancora libero, ma siamo subito intercettati da un agente del commissariato. Ci identifica e, molto gentilmente, ci invita ad andarcene, spiegandoci che altrimenti sarebbe stato costretto a chiamare la polizia.

L’agente si contraddice, e così non capiamo se facendo richiesta alla polizia di frontiera ci sia possibilità o meno di entrare come volontari. Ne approfittiamo, data la cortesia, per chiedere cosa suggerire ai migranti che ci chiedono di Horgos. Risponde che la situazione nel campo “is not human”: meglio stare a Belgrado.

A Kelibia abbiamo un appuntamento con le donne del campo.

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