A filo d'erba

di Stefano Catone

Quando vi spiegano che i giovani non si interessano

Ieri sera ho partecipato (davvero complimenti agli organizzatori!) a un dibattito pre-elettorale organizzato da «COVO: Organizzazione Varesina di Orientamento e Cultura». Spetterà alle ragazze e ai ragazzi presenti tirare le conclusioni, ma mi sembra che sia andato molto bene, nel senso che sono emerse le differenze programmatiche e ideali tra gli schieramenti in campo con una certa nettezza.

Sono emerse soprattutto nel trattare il fascismo e l’antifascismo, lo ius soli, il ruolo della scuola e dell’istruzione universitaria. Non citerò gli altri “colleghi” che sono intervenuti ieri, ma mi limiterò ad alcune brevi considerazioni sui tre temi.

La prima. Non è vero che fascismo e antifascismo sono concetti superati e per dimostrarlo basta ascoltare quel che alcuni ragazzi raccontano di aver vissuto sulla loro pelle. Certo, a un secolo di distanza è difficile immaginare che si ripresenti con lo stesso lessico, con la stessa organizzazione, con le stesse strategie di allora. Ma sicuramente dobbiamo stare allerta nel senso indicato dalla XII disposizione finale della Costituzione, la quale vieta «la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista». «Sotto qualsiasi forma» sono le parole chiave, che ci permettono di aggiornare il ragionamento ai nostri tempi, al web, alla comunicazione digitale, all’organizzazione territoriale e digitale, appunto.

Oggi arriva in libreria #Antifa, dizionario per fare a pezzi, parola per parola, la narrazione fascista. Lo presentiamo questa sera, alle 18, alla Ubik di Varese [evento Facebook]. Nel frattempo, vi invito a leggere la bella recensione scritta da Ilaria Bonaccorsi, qui, e una lettera di Paolo Cognetti, qui (mi farebbe piacere che la leggesse soprattuto il ragazzo che studia Storia e vorrebbe fare il docente: se la leggi, batti un colpo).

La seconda. A chi dice che i bambini, ragazze e ragazzi, non sono discriminati per il fatto di non avere cittadinanza italiana ho ricordato le poco educative disavventure quando bisogna organizzare viaggi di istruzione all’estero (una docente candidata sosteneva invece non ci fosse alcun problema a ottenere i visti, cosa molto discutibile, ma che comunque contiene già in sé una discriminazione), il caso incredibile di Ilham Mounssif, gli altrettanto incredibili casi di discriminazione nella pratica sportiva, solo parzialmente sanati dallo ius soli sportivo, con tutti i limiti che può avere un istituto che introduce altre categorie.

Mi è tornata in mente la storia di un ragazzo che giocava con me alla Roncalli di Legnano. Era (non so se lo sia ancora, sono passati un po’ di anni) albanese. Ha fatto la preparazione atletica con noi, era tra quelli che si impegnavano di più, ma la prima di campionato non l’ha potuta giocare. Nemmeno la seconda. E non ricordo fino a quando. Ma mi ricordo i motivi: difficoltà con il tesseramento perché non era italiano.

La terza. Basta distinguo sull’istruzione universitaria. Abbiamo bisogno di laureati, abbiamo bisogno di ragazze e ragazzi che studiano, e non perché sia un vezzo, non perché sia radical chic studiare (ieri eravamo quasi a questo punto, diciamo), ma per altre due ragioni: 1) più laureati ci sono, meglio stiamo tutti; 2) la rivoluzione dei robot spazzerà via (già lo sta facendo) un sacco di lavori, e indovinate quali saranno i primi lavoratori a essere sostituiti, seguiti anche da impieghi non manuali.

Ultimo inciso: l’ambientalismo non è non buttare le cartacce per strada (e ci mancherebbe), l’ambientalismo è opporsi a infrastrutture inutili (pensate a Pedemontana) e progettare una nuova società.

Come ho avuto modo di dire in altre occasioni, a chi è più giovane di me consiglio di prendersi cura di un pezzetto di mondo per fare politica: che sia una strada, un quartiere, un’associazione, un tema (avrete capito che a me sta particolarmente a cuore il fenomeno migratorio). Prendetene uno, uno solo, cominciate da quello in cui credete di più, e continuate a crederci.

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