A filo d'erba

di Stefano Catone

Siamo campioni

Per celebrare la vittoria del campionato mi sono fatto una quarantina di chilometri in bici e, soprattutto, ho reso omaggio al club più titolato al mondo.

Ho ripensato alla stagione e ad alcune chiacchiere che abbiamo fatto ieri sera, arrivando alla conclusione più ovvia: le vittorie non arrivano dal nulla e non arrivano neppure spendendo vagonate di soldi per costruire squadre a tavolino (ah, quante ne ho viste fallire miseramente già a dicembre, tra i dilettanti, quando ancora giravano un bel po’ di danari), ma arrivano dopo «anni di fatiche e botte e vinci casomai».

La nostra è arrivata esattamente così.

Nelle stagioni precedenti lo stesso gruppo (con un’associazione diversa) ha faticato, e non poco, in serie C, dopo aver conquistato una promozione dalla D quasi dieci anni fa, quando eravamo poco più che ventenni. Tante stagioni a lottare per la salvezza, sperando fino all’ultimo nei risultati degli altri, e fino alla stagione in cui siamo retrocessi, a seguito di un girone di ritorno a dir poco sfortunato – alla penultima di campionato mi lusso ancora la spalla e pareggiamo contro la squadra che si salverà al posto nostro, per un punto, vincendo la giornata successiva. E mi ricordo le incazzature, le delusioni, lo spogliatoio pesante.

Così, con una nuova associazione, la Solbiate Sport&Fun, decidiamo di ripartire. Non chiediamo neppure di poter entrare nella girandola dei ripescaggi. Torniamo a giocare in D e arriviamo terzi, ma le promosse sono le prime due. Ci ripescano e ancora una volta rifiutiamo il ripescaggio, perché vogliamo conquistarci la promozione sul campo. Folli.

L’anno successivo, che poi sarebbe l’anno scorso, la promozione arriva col secondo posto in classifica. Siamo la miglior difesa del campionato con 1,58 gol subiti a partita.

Arriva questa stagione, quella del ritorno in serie C. Non partiamo bene, non siamo di certo i favoriti, e i primi risultati sono altalenanti. Tutto sembra condannarci a un campionato insignificante quando alla sesta giornata prendiamo 5 gol in casa (robe mai viste) dalla squadra favorita per la vittoria finale e che – a partita finita – canta «la capolista se ne va»: punteggio pieno, il distacco dopo sei giornate sembra già incolmabile.

E invece lo sport è una roba fantastica, perché da lì in poi perdiamo solo una partita, nonostante diffusi e importanti infortuni che allontanano dal campo alcune pedine che (non ci sono fenomeni qui) ci hanno sempre aiutato a mantenere equilibrio in campo, giocatori a cui dai la palla e sai che sei a posto, che non la perdono e magari fanno anche la giocata, quelli che «hanno il gioco». Ma questo non importa, perché siamo diventati un’altra cosa, e con la difesa falcidiata succede che ci si inventa un nuovo difensore che cresce partita dopo partita e non fa rimpiangere assolutamente nessuno.

Per le ultime partite la rosa torna quasi al completo e, dopo quattro vittorie consecutive, arriviamo alla partita di ieri. Basta un punto. «Per la prima volta in tutti questi anni – ci dice Marco in spogliatoio prima della partita -, tutto dipende da noi: i risultati degli altri non ci interessano».

La partita è già scritta, le cose non possono andare diversamente. Giochiamo il nostro calcio e, anche se la palla all’inizio pare non voler entrare, la chiudiamo sul tre a zero per noi.

Siamo campioni e siamo una squadra (non scomodo quelle cose sull’amicizia), di quelle in cui tutti sanno ciò che possono e devono dare, ciascuno consapevole dei suoi limiti, delle sue possibilità e delle sue responsabilità. Siamo un’altra cosa, appunto, una sola cosa, coi suoi meccanismi e i suoi equilibri. Non siamo mai stati spettacolari, ma siamo ancora la miglior difesa del campionato (1.55 gol a partita, meglio dell’anno scorso), a dimostrazione di una maturità cercata e conquistata in questi due anni.

Ecco. Le chiacchiere di ieri erano su quando si raggiunge la maturità nello sport. E nel calcio. E nel calcio dilettantistico. Io credo nel 2016, a trent’anni.

«Nella mia vita ho sbagliato più di novemila tiri, ho perso quasi trecento partite, ventisei volte i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato. Ho fallito molte volte. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto».

Ho pensato a questo, il 29 aprile del 2018, girando in bici per la provincia di Varese.

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